Dettagli Recensione
Oncologia
Dopo aver subìto un'operazione per asportare un tumore tra colon trasverso e colon discendente, mio papà, che all'epoca aveva 66 anni, viene preso in carico dal settore Oncologia, anche in virtù della buona esperienza che avevamo appena avuto al reparto Chirurgia. Subito dopo l'operazione, essendo lo stadio del suo tumore un po' dibattuto (G2, pt3, pN0) e non avendo metastasi, si deve discutere se fare o meno la chemioterapia. Premetto che durante l'operazione al colon, il chirurgo oltre al tumore indicato aveva trovato a livello rettale un GIST che era ancora benigno. Alla prima visita di controllo, senza fare nessun altro tipo di accertamento, gli viene detto che nel suo caso non è necessaria e che praticamente l'intervento era stato curativo, ma che ovviamente avrebbe dovuto seguire il follow up per individuare eventuali recidive. Mio padre inizia a seguire il follow-up. A Marzo 2016 durante una delle visite di controllo, il CEA risulta leggermente più alto della norma cioè a 5,6 (i valori ottimali sono compresi tra 0 e 5 e lui aveva avuto sempre un CEA intorno a 3,7), ma l'oncologa decide di non approfondire questo aspetto. A giugno il CEA è a 55, così mio padre fa i dovuti controlli tra cui una TAC a fine giugno dove viene indicata in sede epatica una singola lesione ripetitiva di dimensioni 3*2,5*3,5. Spaventati andiamo in visita con la dottoressa, che afferma che non è una cosa così grave e che sarebbe bastato qualche ciclo di chemio; poi l'asportazione della metastasi che si sarebbe fatta a Candiolo e altri cicli di chemio per consolidare. Disse ai miei genitori che tempo 1 anno e questa situazione si sarebbe risolta. Quindi mio papà fa una PET per verificare che ci sia solo quella lesione, si fa impiantare il Port e il 17 agosto 2016 (1 mese e mezzo dopo la TAC in cui veniva rilevata la metastasi) inizia la chemioterapia secondo lo schema Folfox6 + Avastin. Dopo 4 cicli, che sono stati sopportati benissimo, pur non essendoci una riduzione della metastasi si evidenza una risposta parziale, con un forte abbassamento del CEA. Dopo 8 cicli si ha invece una stabilità di malattia. Premetto che questi cicli di chemio sono stati soggetti a continui rinvii in quanto piastrine e globuli bianchi non erano sempre a posto (ovviamente), però in compenso non gli è mai stata data una qualche cura di supporto per fare in modo da limitare questa situazione e insomma battere il ferro finchè era caldo. Dopo 10 cicli, di cui 3 di mantenimento, la metastasi che secondo loro era invariata ma che inspiegabilmente da luglio ad agosto è passata da 3,5 cm. a 6,5 cm. di diametro, cresce ancora a quasi 8 cm. e compaiono altre 4 micrometastasi in altri lobi. Così mio padre inizia la terapia di seconda linea a base di Folfiri + Avastin. Questa nuova terapia, anch'essa sopportata benissimo a livello fisico tanto non sembrare malato, non sembra sortire gli effetti voluti e così a giugno c'è un'ulteriore estensione della metastasi più grande che arriva ad 11 cm., mentre le altre focalità rimangono invariate. A giugno la dottoressa gli dice che bisogna iniziare la terza linea di trattamento con un farmaco in pastiglie chiamato Regorafenib, dicendogli che durante quel ciclo di trattamento che sarebbe durato 3 settimane + 1 di sospensione avrebbe dovuto tenere sotto controllo la pressione e che si sarebbe potuto sentire un po' stanco. Così inizia la terapia domiciliare con Regorafenib, con controlli ematochimici fissati a fine ciclo (cosa alquanto singolare a mio parere in quanto con un farmaco nuovo forse bisognerebbe vedere il paziente un po' prima di 30 giorni). A 10 giorni dall'inizio della terapia, mio padre che era sempre stato attivo, non si regge più in piedi, passa le sue giornate a letto, non mangia, non riesce neanche a stare seduto sul divano a vedere la televisione. Convinti che fossero gli effetti collaterali e che il primo ciclo fosse più pesante degli altri, dopo 30 giorni andiamo in visita, spiegando tutto gli effetti collaterali che aveva avuto. Lei per tutta risposta dice che le sembrava strano e che una signora che prendeva lo stesso farmaco riusciva anche a guardare i nipotini. Quindi gli riduce il dosaggio da 4 compresse al giorno a 2. Altro ciclo di trattamento le cose sembrano andare un po' meglio, gli effetti collaterali ci sono, ma mio padre riesce a sopportare meglio la terapia e a vivere una vita più normale. Dopo 30 giorni va in visita fa gli esami del sangue e la tac di controllo. A questa visita di fine agosto mio padre chiede espressamente all'Oncologa se stesse morendo, ma la dottoressa gli disse di non preoccuparsi e di proseguire con la terapia, la quale avrebbe dato i suoi effetti dopo diversi mesi di trattamento e che la TAC non era andata male (nonostante il CEA fosse ad oltre 2000, la lesione era aumentata di dimensioni occupando l'intero lobo sinistro anche se presentava delle aree di necrosi e c'era la comparsa di una piccola lesione a livello polmonare). Mio padre inizia un nuovo ciclo sempre con dosaggio ridotto al 50% (cioè 2 compresse) e le cose sembrano andare un po' peggio rispetto alla volta precedente, ma comunque arriviamo a fine ciclo. Nella settimana di sospensione intorno al 21 settembre, notiamo che mio papà sta diventando giallo, quindi decidiamo di portarlo in Pronto Soccorso. Qui dopo avergli fatto le analisi del sangue, Radiografia al torace ed Ecografia, il medico del Pronto Soccorso dice che ha un tumore in fase avanzata che si muove molto velocemente. La Bilirubina è a 16. Viene ricoverato in DEA e in 9 giorni di degenza nessun medico ci ha detto chiaramente cosa stesse succedendo, i primi giorni dicevano che era grave, poi dopo qualche giorno ancora che non c'era molto da fare e che la sua fine era prossima. Il giorno dopo si libera un posto in Oncologia, viene trasferito lì ancora perfettamente cosciente e qui uno degli oncologi che lo ha seguito dice a mia mamma che non c'è niente da fare, se vogliamo metterlo in coma per non farlo soffrire e se siamo favorevoli all'espianto della cornea. Rimaniamo terrorizzati. Il giorno dopo (sabato) gli iniziano a mettere la morfina e quindi mio padre dorme praticamente tutto il giorno. Domenica sembra in uno stato di semicoma e invece il Lunedì mattina ha gli occhi sbarrati e dalla bocca gli esce un liquido verdognolo. Alle 11.43 del 2 Ottobre davanti ai nostri occhi, mio padre smette di respirare all'interno di un reparto che definire tale è un insulto. Dobbiamo avvisare noi i dottori della sua dipartita. In tutto questo, la dottoressa che lo ha seguito non si è fatta sentire nè durante il ricovero in DEA, nè tantomeno durante il breve ricovero in Oncologia. Mio fratello è andato a cercarla per chiedere spiegazioni e lei ha affermato che la situazione era critica già un anno fa (se lo era, perchè non farcelo sapere subito) e che la chemio gli ha semplicemente regalato 1 anno di vita in più. Le viene chiesto come mai su di lui non sono stati adottati trattamenti locali, visto che per 1 anno la malattia è stata confinata al fegato, e lei risponde che la sua malattia era sistemica vista anche la presenza del GIST reattale e che quegli approcci (Radioterapia, ChemioEmbolizzazione, Radioembolizzazione, Chemioterapia trans-arteriosa, Termoablazione) a suo dire non erano applicabili e che l'unica soluzione era la chemioterapia sistemica. Ad oggi (20 giorni dopo la morte di mio padre) non sappiamo se mio padre è morto di cancro, se è morto per gli effetti collaterali della chemio o di qualcos'altro nessuno ci ha spiegato nulla di niente. Neanche le condoglianze ci hanno fatto, umanità zero.
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