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Riabilitazione post-ictus
Agli inizi di gennaio 2019 mia madre, all’età 91 anni, è stata trasferita dall’ospedale Sant’Eugenio all’ospedale San Giovanni Battista per tentare una riabilitazione a seguito di un ictus.
Il quadro clinico è apparso subito piuttosto grave, la TAC evidenziò che l’ictus aveva interessato un’ampia zona del cervello. La riabilitazione motoria e gli esercizi di logopedia per la riabilitazione della deglutizione per i quali era entrata non riusciva a farli, perché la mattina per lo più dormiva poiché le si era alterato il ciclo sonno-veglia.
Sono stati effettuati esami diagnostici e cure mediche per seguire e combattere le patologie che intanto sopraggiungevano, tra cui una forte infezione alle vie urinarie, nel tentativo di ripristinare una certa stabilità. Essendo una paziente completamente non autosufficiente aveva bisogno di cura e attenzioni continue, le infermiere facevano quello che potevano avendo troppi pazienti da seguire e così, nel giro di poco tempo, essendo alimentata in principio col sondino naso gastrico e dopo in via parenterale, la bocca le si è ferita; si sono aggiunte poi lesioni da decubito sia nei talloni che nella zona sacrale, aggiungendo altro dolore a mia madre e a noi figli che assistevamo impotenti. Stava in una stanza da sola e non potendo neanche suonare il campanello, l’unico modo che aveva per ricevere attenzione era urlare.
L’incontro con la dottoressa Rossana Belluomo è avvenuto in corridoio, mentre il mio viso si solcava di lacrime che non riuscivo a trattenere, mia madre peggiorava di giorno in giorno ed ero scossa da un turbinio di emozioni, sensi di colpa, impotenza, confusione; lei mi si avvicinò, parlammo un po’, mi consigliò dei libri da leggere, partecipando in modo sincero alla mia sofferenza. Lei ci ha guidato (a me e ai miei fratelli) in quei giorni di forte disorientamento, a prendere coscienza del fatto che nostra madre era nella fase terminale della sua vita, che doveva essere trasferita il più presto possibile in una struttura più idonea dove potessero prendersi cura di lei nel rispetto della sua dignità fino all’ultimo istante della sua vita circondata dall’affetto dei propri cari a qualsiasi ora del giorno e della notte.
Dopo cinque settimane fu trasferirla in un Hospice, la dottoressa Belluomo si offrì lei stessa di accompagnarla in ambulanza anche se oltre l’orario di lavoro.
Mia madre chiuse gli occhi per sempre sei giorni dopo.
Rendo questa testimonianza per ringraziare la dottoressa Belluomo per l’umanità e la vicinanza mostrate verso la nostra famiglia ma, soprattutto, affinché chi dovesse trovarsi nella condizione di avere un proprio caro nella fase finale della sua vita, vinca la resistenza a trasferirla in un Hospice, non è abbandonarla al suo destino, ma donarle la possibilità di essere prima di tutto una persona e poi un malato.
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