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Accesso in pronto soccorso
La notte di venerdì sono arrivata in pronto soccorso in ambulanza perché lamentavo forti dolori addominali e lombari che si irradiavano lungo tutta la gamba, fortemente nauseata, dopo aver vomitato. Riferisco subito di aver avuto un episodio di appendicite nel 2019 trattato tramite antibiotici e non chirurgicamente. Invitata più volte a non piangere e a non contorcermi per i dolori poiché “se tanto piangi non è che ti passa”, l’addetta al triage mi invita a sedermi su una sedia in metallo in sala d’attesa. Gli altri pazienti presenti, basiti per il mio stato visibilmente dolorante, erano i soli a seguirmi in bagno per accertarsi che andasse tutto bene e a proporsi di alzarsi dalle poltrone per i prelievi sulle quali erano seduti per farmi stendere. Scioccata, mentre camminavo letteralmente piegata in due, sono andata a reclamare una barella e sempre l’addetta al triage mi ha bellamente ignorato, continuando a fissare lo schermo del pc senza degnarsi di guardarmi nemmeno in faccia. Su mia insistenza gli infermieri, intenti a gozzovigliare nella loro stanzetta, si alzano e mi dicono che non c’erano barelle, ma almeno in questo modo mi degnano di qualche attenzione e mi piazzano su una poltrona reclinabile per prelievi, dimenticandosi però di aprirla per farmi stendere.
Mentre stavo per svenire dal dolore, gli infermieri continuavano a chiacchierare tra di loro senza degnarmi di uno sguardo. Finalmente mi somministrano una flebo di Toradol e i dolori si alleviano. Mi dimenticano sulla stessa poltrona per un’ora, finché un infermiere non arriva con un’altra flebo di antibiotico. Alla mia richiesta di spiegazioni, la risposta che mi è stata fornita è stata “ne parlerà col medico, ora siamo di fretta” (ci tengo a sottolineare che per tutta la durata della mia permanenza in pronto soccorso ho interagito solamente con gli infermieri). Dopo circa un’altra ora vengo dimessa e finalmente vedo in faccia un medico che mi consegna un referto cartaceo senza nemmeno dirmi a voce quale fosse la diagnosi. In definitiva, secondo loro avevo una cistite emorragica (seppure fosse impossibile stabilirlo poiché in quel momento avevo le mestruazioni). Chiedo ingenuamente se sia possibile avvertire così tanto dolore da dover ricorrere ad un farmaco con lo stesso principio attivo degli oppiacei per una cistite e mi rispondono “per chi ha una soglia del dolore pari a zero come lei, sì”. Non contenti continuano a sbeffeggiarmi fino all’ultimo momento quando, salutandomi, ridacchiano dicendomi che mi avrebbero aspettato quando avrei dovuto partorire per capire cosa sono i veri dolori. Non sono mai entrata in contatto con un istituto di cura popolato da persone apatiche come lo staff del San Giuseppe. Dulcis in fundo, a sottolineare quanto nella clinica (e lo dico da psicologa iscritta all’Ordine) l’ascolto sia parte integrante FONDAMENTALE e IMPRESCINDIBILE del processo di cura, leggendo la voce dell’anamnesi nel referto scopro che al medico (che non ho mai visto se non per il mio congedo) lo staff di infermieri ha riferito che avevo subìto un’appendicectomia, seppure io avessi sottolineato più volte che il mio episodio di appendicite nel 2019 era stato trattato solo farmacologicamente. Sarà forse per questo che pur lamentando dolori addominali fortissimi nessuno si è degnato di guardarmi/sfiorarmi l’addome? A buon intenditor, poche parole.
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