Dettagli Recensione

 
Ospedali e case di cura a Milano
Voto medio 
 
1.5
Competenza 
 
1.0
Assistenza 
 
1.0
Pulizia 
 
3.0
Servizi 
 
1.0

Adenocarcinoma gastrico

Sono trascorsi pochi mesi da quando mia sorella Giovanna ci ha salutato per sempre. Io e mio marito l'abbiamo accompagnata per circa un anno e mezzo all'Istituto Europeo Oncologico, da lei scelto con convinzione e fiducia per curarsi fin dalla diagnosi della sua malattia, avvenuta nel febbraio del 2017: Adenocarcinoma gastrico metastatico a livello peritoneale e annessiale. Un'infausta diagnosi che purtroppo consente la sola somministrazione di cicli di chemioterapia, escludendo qualsiasi intervento chirurgico. Noi familiari, contrariamente alla filosofia dello IEO, abbiamo però cercato sempre con amore di non toglierle mai la speranza di una possibile guarigione.

La mia disapprovazione, la mia delusione, nei confronti dell'Istituto (e purtroppo ciò percepito anche da mia sorella nel corso della malattia) non è inerente a una mancata guarigione (impossibile guarire da questo tumore), ma all'organizzazione e direzione interna dell'Istituto chiamata ripetutamente da loro "logistica", in particolare dall'operato di tutti coloro, medici compresi, che ci lavorano.

In questi lunghi mesi dove mia sorella Giovanna è stata a volte ricoverata anche per più giorni per i cicli di chemioterapia, abbiamo provato la spiacevole consapevolezza che lo IEO assomiglia più ad una grande azienda che ad un'Istituto tumori, dove tutto deve scorrere velocemente, deve essere "logisticamente" organizzato: dall'ingresso, all'eventuale operazione, al ciclo di chemioterapia, il tutto in un breve calcolato tempo. Il primo step, se viene scelto il regime di solvenza (e spesso con sforzo e sacrifici molti lo scelgono sia per un'ingresso più veloce e, soprattutto, perché li fa sentire più sicuri) è passare dall'ufficio accettazione, dove vieni ricevuto da personale che indossa belle divise, ma molto scostante ed autoritario dove sembra di trovarsi più che in un Istituto tumori in una banca, dove ti viene posto davanti il preventivo già ricevuto in precedenza, la richiesta di acconto ecc... Ogni volta questa burocrazia viene ripetuta ignorando la forte sofferenza del paziente che, come mia sorella, attendeva seduta fuori in sala di attesa aspettando di fare ingresso il prima possibile. Dopo la procedura di ingresso imposta, il paziente viene accolto dal personale infermieristico che fin da subito aggiunge un "cara" ogni volta che pronuncia il suo nome e ogni volta che risponde ad una sua domanda, da apparire così per le troppe volte ripetuto un atteggiamento antipaticissimo e fintamente gentile, adeguato più ad un luogo commerciale che ad un reparto di cura.

La sensazione per assurdo più sconcertante e irrispettosa per un paziente, è vedere tutto il personale medico all'interno dell'Istituto indossare un abbigliamento sicuramente più adatto a qualsiasi altro tipo di lavoro, ma sicuramente non a quella della professione medica. Rari indossano un camice bianco e quei pochi lo lasciano ben aperto facendo intravedere così la bella cravatta o l'accostamento dei colori abbinati. Sembra di trovarsi in una grande sfilata di moda, dove tacchi alti, scarpe di qualsiasi tipo nei lunghi corridoi dell'Istituto dominano e sostituiscono l'adeguata calzatura che ogni medico nello svolgere la propria professione dovrebbe indossare. Ma più offensivo, sono le acconciature, capelli sciolti e colorazioni diverse che si facevano notare, ma dove esiste il rispetto? rispetto in special modo verso tutte quelle donne, spesso ragazze che passeggiano nei corridoi sofferenti per la chemioterapia, molte di loro con bandane e copricapo spesso acquistati nei punti vendita per assurdo all'interno dell'istituto, assurdo perché sembravano più piccole boutique con oggetti regalo di qualsiasi tipo, ma se esiste la necessità, per chi è ricoverato di una semplice saponetta o simile non è possibile acquistarla. E chi purtroppo si trova lì non ha voglia di acquistare regali.

Ho letto tristezza negli occhi di mia sorella e rabbia provata da me per l'indifferenza e freddezza di sentimento di qualsiasi medico che potevamo incontrare nelle aree comuni dell'Istituto, ma specie verso coloro che la seguivano e la curavano, quando ad un nostro saluto o sorriso, molti di loro facevano finta di guardare altrove o cambiare direzione, per mia sorella quel semplice saluto avrebbe rappresentato un grandissimo regalo e penso sia la sensazione comune di molti pazienti.

All'interno dello IEO all'argomento week end viene data molta importanza, già dal venerdì mattina si percepisce una grande aria di allegria, specialmente nei pressi delle varie macchine dispensatrici di caffè, acqua, merendine ecc... situate nel corridoio adiacenti al reparto solvenza, attorno trovavi sempre un gran movimento fra infermieri, dottori, professori, dove ognuno raccontava come avrebbe trascorso il week end e Il lunedì mattina si ritrovavano tutti nuovamente per raccontarsi le giornate trascorse nel fine settimana. Vedere tutti loro quanto tempo trascorrevano per parlare di futili argomenti era veramente sconcertante, senza considerare quando accennavano al decorso senza speranza di alcuni pazienti.

Abbiamo visto spesso arrivare ambulanze all'Istituto a sirene spente entrando dal retro nel garage interno sotterraneo e prelevare pazienti che per complicanze dovevano essere portati in ospedale, visto che loro si definiscono "non essere un pronto soccorso"; continuavano a ripetere che quello non è un ospedale e in effetti non può essere definito un ospedale, perché allo IEO non puoi sentirti male nei giorni che vanno dal venerdì al lunedì, poiché veramente ti trovi senza alcuna assistenza di genere. Non esistono tecnici per effettuare esami urgenti e il reparto infermieristico è ridotto, diventa in tutta la sua area un Istituto deserto, dove il sabato notte esiste solo una guardia medica o poco più che copre quasi tutta l'area dell'Istituto e spesso come è successo a mia sorella, quando chiamata la dottoressa che esegue tale turno, nel nostro caso decisamente svolto in maniera nervosa e senza alcuna voglia di imbattersi in vite senza speranza, non perde tempo a comunicare al paziente il tipo di tumore che ha ed il sintomo che le potrà dare (proprio ciò che io ho sempre cercato di nasconderle). La frase della dottoressa è che mia sorella Giovanna avrebbe causato con la sua ansia problemi alle colleghe, che lei non aveva tempo di spiegarle le cose... e testuali parole: "lei ha un tumore, un adenocarcinoma allo stomaco prima o poi vomita". Ebbene quella notte di giugno dello scorso anno, quella dottoressa, quella frase cosi' orribile rimasta impressa a mia sorella (chiedendomi di riscriverla dettagliatamente) ha rappresentato per lei da quella notte, un vero incubo, incubo che l'ha accompagnata fino alla fine!

Nell'Istituto non riesci a parlare con nessun medico, non esiste una stanza, un ambulatorio, un giorno o un orario in cui puoi parlare o chiedere, ho passato giornate intere nel corridoio cercando di incontrare e fermare qualche medico del reparto di Oncologia Medica Gastrointestinale, ma spesso mi accorgevo che passavano da una porta interna entrando direttamente e velocemente in camera di mia sorella, dove certo non potevo chiedere in maniera esplicita il decorso della malattia, rare volte insistendo e discutendo sono riuscita ad essere "ricevuta" in tutta fretta nella sala infermieristica. Il Dottore dirigente del reparto di Oncologia Medica Gastrointestinale è sempre stato introvabile, in un anno e mezzo lo abbiamo trovato quattro volte, inviava alternando il suo team (come lo chiamava) composto da due o tre dottoresse giovani giunte da un anno o due allo IEO; addirittura gli ultimi mesi mia sorella ha avuto una dottoressa di riferimento ancora molto più giovane che dalle domande che faceva e come svolgeva la visita, intuivo che non era certamente al corrente di tutto quello che era stato il lungo decorso del tumore.

Il Dottore dirigente del reparto di Oncologia Medica Gastrointestinale, le rare volte che si è presentato è stato dietro pressante nostra richiesta, dove decretava il decorso del tumore sconfiggendo ogni richiesta di speranza che mia sorella le poneva sul suo proseguo di vita a cui lei con forza e coraggio voleva credere. Lo stesso medico, che insieme ai medici del reparto di Terapia del Dolore, si è impegnato con destrezza a "indirizzarla" nell'hospice, proprio di fronte allo IEO, definito dallo stesso "decoroso"... Un luogo dove è stata inviata mia sorella in assenza mia e di mio marito cercando di approfittare proprio di quella nostra assenza, addirittura in quella DOMENICA 30 APRILE, per mandarla in ambulanza (facendole pagare addirittura € 40) assicurandosi telefonando a noi, telefonata effettuata dalla Terapia del Dolore, allo scopo di accertarsi e convincerci di non arrivare a Milano in quella data se no, testuali parole "AVREMMO ROVINATO TUTTO", cioè il loro "piano" per far uscire mia sorella Giovanna dallo IEO, quella paziente "SCOMODA" così da loro definita che oltretutto si è molto opposta alla loro scelta, ma che riponendo negli stessi molta fiducia ha poi accettato.

L'hospice è un posto dove é il paziente che deve scegliere di andare, perché già dal primo momento in cui fai ingresso ti rendi conto e hai la consapevolezza (scacciata con fatica a momenti dall'inconscio) di non "AVERCELA FATTA", di non aver vinto la malattia. Questo ultimo ingresso all'hospice per mia sorella è stato un vero colpo psicologico, le ha immesso una grande paura e terrore, io che sono entrata da non paziente ho pienamente provato un enorme senso di orrore, mi immagino cosa può aver rappresentato per lei! Un luogo altresì dove internamente esiste una stanza chiamata dello "SFOGO", dove io e mio marito increduli ai nostri occhi abbiamo visto delle macabre maschere appese al muro, penso che la stanza e le stesse siano state allestite perché il paziente o i parenti possono scegliere di indossarle per poter piangere liberamente... ma dove eravamo? Non condivido affatto questo, io ho pianto quando mi andava e non importava chi mi poteva vedere, l'unica persona che volevo non mi vedesse era solo mia sorella.

Un posto l'hospice dove Giovanna purtroppo ha concretizzato l'idea di un FINE VITA.
QUESTO INGRESSO NON DOVEVANO DECIDERLO IN ASSENZA NOSTRA!

Appena appreso dell'ingresso all'hospice immediatamente l'abbiamo raggiunta, l'abbiamo trovata impaurita e mai ha voluto uscire di camera, non le importava di vedere o capire dove si trovava, aveva purtroppo già percepito la consapevolezza di cosa rappresentava quel luogo. Subito abbiamo lottato affinché lo IEO, come Terapia del Dolore, dove mia sorella era ricoverata e seguita, (prima di fare ingresso all'hospice) le concedesse l'assistenza infermieristica a casa a Milano. Ciò è avvenuto ma dopo circa dieci giorni, la stessa Terapia del Dolore ha organizzato il rientro di mia sorella in Toscana, concedendole dopo accorata richiesta da parte sua un breve rientro di pochi giorni allo IEO, per lei rappresentava una vera grande speranza! Ma l'enorme mancanza da parte loro, è stata nel non comunicare a noi familiari che mia sorella Giovanna talmente giunta al fine vita non sarebbe mai potuta rientrare allo IEO. L'abbiamo accompagnata a casa, insieme a noi in Toscana, ignari che di li a una settimana dal rientro, con difficoltà per il suo imminente peggioramento e sprovvisti di organizzazione infermieristica d'urgenza, ci avrebbe salutato per sempre. Era doveroso da parte loro, era semplicemente portare rispetto a noi familiari, informandoci che mia sorella non sarebbe più potuta rientrare all'Istituto, ma soprattutto metterci a conoscenza dell'imminente precarietà di vita in cui si trovava.

Dovevo esprimere, soprattutto per mia sorella tutto ciò che purtroppo anche lei si è resa conto all'ultimo di dove aveva scelto per curarsi e di sperare e per me, che ho vissuto questo anno e mezzo con un dolore enorme, con lo sforzo di sorridere per donarle speranza, ma soprattutto per l'enorme rabbia e delusione che ho provato nel vedere l'operato di medici in un Istituto per tumori, dove i pazienti cercano in assoluto negli occhi di quei medici la speranza, quella luce, che le viene negata dalla completa indifferenza, freddezza e superiorità. Vorrei si domandassero con piena sincerità se sono sicuri di agire in buona fede e con quel grande senso di responsabilità che li dovrebbe contraddistinguere.

Porto dentro di me e credo resterà per sempre, quell'amarezza di aver vissuto questa brutta esperienza accanto a mia sorella Giovanna, che accompagnavo nel suo doloroso percorso di malattia, tanta ma veramente tanta amarezza verso questo Istituto che dovrebbe essere solo ricerca!

Spero che questo mio scritto possa essere di aiuto a tutti coloro, che purtroppo si trovano ad affrontare una prova di vita, che per la sua unicità ha l'estremo bisogno oltre al proprio coraggio, di ricevere una grandissima fonte di sincera coscienza medica, rispetto e umanità.

Letizia

Patologia trattata
Adenocarcinoma gastrico.
Esito della cura
Nessuna guarigione

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