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L'umanità insieme alla competenza
Due mesi di degenza in ospedale sono lunghi e sfibranti per tutti: per il paziente, soprattutto se non può dare un senso alla cosa; per i parenti, che entrano in un tunnel dove tutto parla, odora, risuona di ospedale e dove l’altalena emotiva è sconvolgente; per il personale medico e sanitario, per la ripetitività di operazioni che non portano alla soddisfazione di un risultato duraturo.
Eppure all’ospedale Maggiore, a Medicina C, questi due mesi iniziati dalla fine – perché il corretto, ma necessariamente freddo, medico del pronto soccorso aveva ricoverato Stefano avvisandomi che era “a fine corsa” – si sono ridisegnati man mano in qualcosa di molto altro. Stefano ha perso via via l’ombra dagli occhi, spaventati e attoniti il giorno del ricovero, ed ha mostrato di riconoscere, di accettare, di sentirsi accudito; noi parenti abbiamo sospeso quel fine- corsa appendendoci alle parole e agli sguardi dei sanitari; medici e infermieri hanno superato l’impatto complicato dell’avere a che fare con un paziente portatore di sindrome di Down aggiungendo alla loro competenza quell’altro ingrediente, sale della terra, quell’umanità che in mestieri come questo è la carta che sbaraglia tutto.
Così mentre le incompetenze politiche rovesciano sulla sanità le loro burocrazie e le loro scuri, nei corridoi dell’ospedale pubblico medici e infermieri, tra campanelli che non si quietano ed emergenze che si accavallano, non hanno avuto paura di mettersi in gioco, di “avvicinarsi”, con tutti i rischi di coinvolgimento che questo provoca, dando sempre il massimo, cercando in tutti i modi di rovesciare il pronostico infausto, di imparare a loro volta dal paziente.
Sono quei prodigi quotidiani, che non hanno risalto e pesano come una piuma, ma fanno il tessuto fertile di una categoria che crede nel suo lavoro: italiani e stranieri, di esperienza o giovanissimi, tutto lo staff di Medicina C ha fatto sì che si creasse una comunità intorno a Stefano che lo ha accompagnato a quel fine-corsa tramutandolo in un percorso, in una strada insieme, che magari resterà come acquisizione, come tappa raggiunta per altri casi. Il tragico avvenimento diventa un’esperienza: è il segreto per trovare forse quel senso che non smettiamo di cercare.
Per questo noi parenti di Stefano non abbiamo parole per ringraziare tutti, se non dire che ci rimarrete nel cuore.
Magda Indiveri
Bologna, 21 gennaio 2011
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