Ospedale San Paolo Civitavecchia

 
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Quando si muore al Pronto Soccorso del San Paolo

Lettera inviata al Direttore Sanitario dell'Ospedale San Paolo di Civitavecchia, dott. Antonio Carbone
Preg.mo Direttore,
Mi chiamo Barbara Bartoletti e sono la figlia di un paziente del Suo Pronto Soccorso che il 4 aprile scorso ha concluso lì la sua vita. Ormai è passata oltre una settimana da quella mattina del 4 aprile. E’ stata una settimana difficile fatta di dolore, di rabbia e di caos, ma importante per distinguere il soggettivo dall'oggettivo e per dare il giusto peso alle responsabilità di ognuno. Alla Sua struttura di responsabilità morale ed umana, ad oggi
ne dò ancora moltissima, come quella mattina del 4 aprile, anzi di più.
Non posso dimenticare che all'ingresso in Pronto Soccorso io e mia madre ci siamo immediatamente presentate al Triage per avere notizie di mio padre e, anziché ricevere direttamente notizie, dopo mezz'ora abbiamo ricevuto una telefonata sul mio cellulare da uno dei medici, il quale per arrivare al mio numero aveva addirittura consultato i Carabinieri ed una vecchia scheda dell'Ospedale, mentre sarebbe bastato comunicare con l'addetto del Triage.
Non posso dimenticare che dal momento in cui ho parlato con quello stesso medico, che mi riferiva le condizioni irreversibili di mio padre in seguito ad una copiosa emorragia cerebrale e mi assicurava che presto lo avrei potuto vedere, per poterlo salutare in attesa che si fermasse il cuore, sono poi passate oltre DUE ore senza notizie. In quelle due ore, mio padre è morto.
Non posso dimenticare che io e mia madre, in quelle due ore, eravamo a mezzo metro dall'addetto del Triage, il quale sapeva che eravamo lì in attesa di notizie e di entrare. Dopo appunto oltre DUE ore di attesa, sono andata io a chiedere notizie e a sollecitare di entrare e lui mi ha riferito, guardando il computer, che il cuore di mio padre si era fermato e che era necessario aspettare ancora per entrare. Me lo ha detto guardando il computer, come se stesse verificando l'arrivo di un pacco sul sito del corriere.
A questo punto, come non bastasse, io e mia madre siamo state convocate dal primario del Pronto Soccorso per fornire i dettagli dell'ingresso del paziente e del decesso, visto che il turno era appena cambiato e la consegna dal medico smontante non era stata dettagliata. Ripeto: il primario chiesto a noi di conoscere i dettagli del ricovero, facendoci ripercorrere le tappe di quell'orrenda mattinata in cui noi sapevamo solo di averlo affidato, agonizzante, al 118. Il tutto, ovviamente, ancora senza aver visto il corpo di mio padre.
Il passaggio di consegne dal turno precedente doveva essere stato parecchio travagliato, poiché mentre fornivamo alla dottoressa i dettagli dell'accaduto, quel poco di nostra conoscenza, un'altra dottoressa è entrata nella stanza e le due hanno trascorso interminabili minuti di discussione incentrati sulla loro insoddisfazione nel lavorare in modo così approssimativo e con consegne tanto vaghe. Il tutto davanti a noi, incuranti della nostra presenza e della nostra condizione per una morte appena appresa.
In quella stanza ho anche appreso che l'ora di morte di mio padre era le 11.10 di mattina, mentre dall'addetto al Triage ero andata alle 13.35 a sollecitare l'ingresso convinta che fosse ancora in vita, e nel frattempo nessuno del Pronto Soccorso si era degnato di farci sapere che ormai mio padre era morto.
Finalmente mio padre l'abbiamo poi visto, ormai freddo. E fredda era anche la nostra anima, per la perdita appena subita e l'assoluta mancanza di rispetto con cui eravamo state trattate dal personale del Suo Pronto Soccorso quel venerdì mattina del 4 aprile 2014.
Oltre a tutto ciò, non siamo mai rientrate in possesso degli effetti personali di mio padre, cercati ovunque, inclusi un orologio che avrei volentieri indossato in sua memoria. Pare che sia normale che accada nelle ambulanze e nei Pronto Soccorsi. Nessuno di quelli a cui l'ho raccontato si è stupito. Io sì, provo stupore e orrore, ed ho sporto denuncia ai Carabinieri di Campo di Mare.
Ad oltre una settimana da quella mattina, caro dottore, le faccio come regalo questo specchio, che le rifletta negli occhi che il lavoro di medico, se dissociato dal rispetto della persona malata e della sua famiglia, fa danni che la gente non dimentica.
Barbara Bartoletti

Patologia trattata
Emorragia cerebrale.
Punti deboli
Empatia e rispetto nei confronti della famiglia del paziente.
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