Dettagli Recensione

 
Ospedale Cardarelli di Napoli
Voto medio 
 
5.0
Competenza 
 
5.0
Assistenza 
 
5.0
Pulizia 
 
5.0
Servizi 
 
5.0

Un’eccellenza europea: il reparto Neurochirurgia

La malattia e la sofferenza sono tra le prove più gravi che deve affrontare tutta l’esistenza umana. La sofferenza è certamente uno scandalo agli occhi dell’uomo, essa è ingiusta, non risponde a una logica, colpisce a caso, non si può trovarne un significato. Gesù si avvicina all’infermo presentando in lui il suo proprio giogo di amore, che lo rende solidale con tutti quelli che soffrono. Il Verbo si fa carne assumendo tutto ciò che è nell’uomo, compresa la malattia, la sofferenza e la morte: egli è l’Uomo al quale l’infermo si può configurare. In lui la sofferenza, anche se rimane in sé stessa un male e una prova, può sempre diventare una sorgente di bene. Se essa può essere attenuata o sorpassata grazie alla medicina, non di meno rimane abitata da una grazia di unione al Cristo redentore. Alla luce del dato evangelico la chiesa, fin dai primi secoli, ha considerato Cristo come medico, Ireneo di Lione scrive: «Il Signore è venuto come medico di coloro che sono malati». Saper soffrire è la saggezza che più ci necessita per la nostra evoluzione spirituale. L’uomo conosce questo sentiero e l’umanità percorre questa strada. Così, probabilmente, la sola nostra grandezza quaggiù sta nel saper essere vivi, operosi e militanti nelle ore della sofferenza, poiché solo il dolore può “battezzare” ogni uomo nell’umanità migliore. Spesso la sofferenza è il mezzo che Dio predilige per ricondurci a lui. Il dolore è un luminoso seme che solo dopo essere stato a lungo custodito dentro di noi nel silenzio e anche nello sconforto, può germogliare in frutti fecondi. E più tardi, a mietitura avvenuta, comprendiamo quale era stata la sua ragione di fiorire per noi. Spesso ci si domanda chi sia il nostro prossimo con cui condividere questo tesoro. Se lo chiedono, in particolare, coloro che vivono la loro esperienza di servizio nei luoghi della sofferenza, vicini a coloro che sono malati nell’anima e nel corpo. Tali attività assumono forme istituzionali diverse e concrete attraverso le professioni di medico, infermiere, terapista, ricercatore, volontario. Sono molte le persone che mettono a frutto la loro intelligenza nella ricerca e nello studio, usano tempo e danaro per alleviare, con grande sensibilità e spirito di dedizione, le pene di tanti fratelli sofferenti. Uno dei verbi che gli evangelisti usano per descrivere l’attività di Gesù è therapeùo. Nel greco classico, questo verbo prima che guarire, significa servire; nei Vangeli è usato nel senso di “curare”, “prendersi cura”, e quindi, dedicarsi ai malati, farsi carico delle loro malattie e debolezze, seguire e favorire il processo che porta il malato alla guarigione. La sua azione terapeutica avviene all’interno di una relazione. Accettare di condividere la sofferenza degli altri esige che colui che si avvicina al sofferente, riesca a trovare in essa un senso e a considerarla come un mezzo di purificazione, di maturazione, di speranza. Provare compassione, infatti, accettare l’altro che soffre, significa fare propria la sofferenza dell’altro. Questo e tanto altro ho riscontrato al Cardarelli di Napoli, nel reparto di Neurochirurgia diretto dal prof. Pasquale Caiazzo coadiuvato da valenti chirurghi, ringrazio in particolar modo il prof. Franco Civetta, da capi sala, infermieri e paramedici che esercitano in maniera altamente professionale il loro lavoro. Le piccole cose preparano alle grandi, ebbene, quello che mi colpito, sono le piccole gestualità: nell’esperienza fuggevole, fragile, quasi inafferrabile, della bellezza di un gesto, viene detto qualcosa di molto profondo sul rapporto che si sta creando. Il gesto è portatore di un’intenzione, perché come la parola e il silenzio esso è “abitato”, indirizzato verso qualcuno. Anzi nella sua sobrietà la bellezza del gesto intrattiene una relazione privilegiata con il silenzio perché più delle parole che si potrebbero dire per accompagnarlo. La sofferenza è l’occasione del gesto e talvolta lo impone: sfiorare le dita dei piedi di un malato ci colpisce nella sobrietà, nel silenzio, nell’assenza di ogni parola esplicativa che la saturerebbe di un senso esplicito. Se tale gesto mi ha colpito al punto da rimanere impresso nella memoria, è perché ha rappresentato molto più che un significato preciso e perfino aneddotico: esso diceva, infondeva, coraggio e speranza. Grazie, dunque, all’intero reparto che ha saputo trasformare quello che poteva essere un momento di dolore e sofferenza in una splendida esperienza di pace e serenità concedendomi, dopo tanto tempo, una periodo di sereno riposo, “coccolato” come in una Spa.
Aniello Clemente

Patologia trattata
Ematoma cerebrale.
Esito della cura
Guarigione totale

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