Psicologia Ospedale San Martino Genova
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musicoterapia e cancro
CHIEDERE AIUTO
Per diversi mesi sono riuscita a tenere duro e a non far trapelare nulla, ma il cammino da fare era troppo lungo per reggere anche all'infelicità della mia vita: ritrovarmi a dover andare da sola a fare la terapia e/o i controlli di routine, i grossi problemi che il mio sistema immunitario mi dava, la continua somministrazione di altri farmaci molto aggressivi, tutto mi porto' a dover chiedere aiuto e fu cosi' che il mio oncologo mi mando' da una psicologa che seguiva persone oncologiche.
Con il primo colloquio la dottoressa mi mise completamente a mio agio rassicurandomi che non c'era nulla che non andasse nella mia testa, e che quello che avevo fatto fino a quel momento era uno sforzo terribile: mi rimprovero' dolcemente, dicendomi che avrei dovuto lasciare perdere tutti e che avrei dovuto pensare un po' di più a me stessa.
Non era cosi' facile anche perché bisognava comunque tornare a casa, alla vita di tutti i giorni con le persone di tutti i giorni, ma lei mi incoraggio' dicendomi che mi avrebbe aiutato con la musico terapia, facendomi entrare in un gruppo e sicuramente per mezzo di quegli incontri sarei riuscita a trovare un po' di serenità, quella che bastava per andare avanti.
Inoltre avrei conosciuto persone che avevano i miei stessi problemi e che, come me, si sentivano un po' marziani. Infatti anche loro, oltre alle problematiche con i familiari, avevano preso coscienza che il modo di guardare le cose e le persone era completamente cambiato, anzi: tutti ci domandavamo come mai non ci eravamo accorti che la vita che vivevamo non ci appartenesse e più che vivere sopravvivevamo; avevamo sprecato moltissimo e l'unico raccolto che avevamo fatto di ciò che avevamo seminato, erano molti rimpianti, troppi.
Avevamo rincorso dei sogni che non erano i nostri; avevamo fatto moltissimi sacrifici pensando in primis alla famiglia e mai una sola volta a noi stessi; avevamo sperato che accadesse un miracolo che ci permettesse di essere più felici; avevamo perso tantissimi anni della nostra esistenza aspettando qualcosa che non sarebbe mai arrivata, poiché il miracolo, anche se non eclatante, accadeva tutti i giorni sotto i nostri occhi. Eravamo noi stessi che con la nostra forza eravamo riusciti a far crescere i nostri figli, ad aver scelto di essere persone oneste, a tendere la mano a chi chiedeva aiuto, a godere delle cose belle che la vita ti dona tutti i giorni: tutto quello che abbiamo intorno lo prendiamo per scontato, anche quando immani tragedie si abbattono sul mondo e ci fanno per un attimo riflettere, subito dopo si rientra negli ingranaggi vorticosi che ci siamo costruiti e non si sa bene il perché.
Poi ci si sveglia e non con un bacio dato da un principe o una principessa, ma con un morso dato dalla vita, si, quella vita fatta di migliaia di cose e di persone che tu ritenevi del tutto scontate.
Fu cosi' che conobbi Marilisa, Anna e Amedeo.
Tre persone che hanno lasciato nel mio cuore un segno, tre persone che come me avevano le mie stesse paure, soffrivano dell'indifferenza, amavano profondamente la vita e cercavano di non condizionarla con la loro malattia.
Anna, aveva un cancro al seno e come me stava facendo la chemio: alta, una donna attraente, elegante che cercava con dei foulard molto belli di coprire la sua calvizie.
Amedeo, aveva un cancro all'intestino: un uomo come tanti altri ma con una particolarità che lo distingueva, educato e gentile come un lord di altri tempi.
Marilisa: anche lei un tumore all'intestino, aveva finito la chemio da un po' ma non era andata come ci si aspettava: fragile, serena e piena d'amore.
Al primo incontro il maestro di musicoterapia ci fece parlare, chiedendoci di presentarci e nella stanza di quell'edificio, sito proprio in mezzo al trambusto dell'ospedale, ad un certo punto tutto tacque, eravamo soli con noi stessi, ci ascoltavamo e innanzi tutto cominciavamo ad ascoltare ciò che il nostro corpo e la nostra mente ci chiedeva: le priorità dei nostri bisogni, quelli che fino a quel momento avevamo cercato di non sentire e di non vedere per non accumulare dolore su dolore.
All'inizio trovammo difficoltà a parlare di noi e di quello che provavamo, era la prima volta che lo facevamo di fronte ad altri, fino a quel momento avevamo tenuto tutto dentro, nascondendo prima agli altri e poi a noi stessi le difficoltà e i cambiamenti che stavano avvenendo. Eravamo spaventati e delusi: tutto stava cambiando molto velocemente e molto di noi e degli altri non accettavamo più.
Fu con loro che ritrovai la serenità, sapevo che ogni mio comportamento o il desiderio di franchezza sarebbe stato recepito per quello che era, senza andare troppo lontano con la mente: il bisogno di parlare, il bisogno di un rifugio sicuro, il bisogno di essere aiutata. Continuo a parlare di bisogno poiché questo vocabolo negli ultimi anni e' diventato una parola senza senso per la maggior parte della gente, con buona pace di tutti, una consapevolezza inconsapevole che non esistono i bisogni degli altri, ma solo i propri.
Dopo mesi di occhi umidi e volti stirati, cominciammo a sorridere. Comprendevamo che era molto lungo il percorso da fare per uscire dalla malattia e che avremmo potuto non farcela, ma la voglia di combattere era tanta e ad ogni nostro incontro c'è la donavamo l'uno all'altra e tutto diventava più leggero, sopportabile. Parlavamo delle nostre terapie e delle contra indicazioni, scoprendo che tutto era nella norma, condividendo cosi' la paura. Discutevamo di quanto avessero influito sul nostro mondo femminile e ridevamo quando Amedeo ci consolava dichiarandosi in quel periodo un asessuato. Era il suo modo di dirci che non eravamo sole e che tutto era nella normalità di quegli eventi, ma detto da un uomo ci aiutava a sentirci meno brutte e più' normali.
Eravamo fino a qualche giorno prima dei perfetti sconosciuti, eppure in pochi giorni sapevano più' loro della mia vita, che chi viveva con me da tanti anni. Capii allora che la difficoltà maggiore per una persona non è parlare, poiché alla fine anche se nel modo sbagliato parliamo tutti, è un bisogno dell'uomo comunicare, ma ascoltare l'altro è la parte più difficile. Gesù fu un grande comunicatore, parlo' a folle immense, ma chi seppe ascoltarlo e far entrare le sue parole nel proprio cuore non furono molti.
Questo è il miracolo che ognuno di noi dovrebbe fare ogni giorno, capiremmo che i nostri desideri sono i desideri degli altri, come i loro bisogni, le loro paure e le loro aspettative. Comprenderemmo che durante la nostra esistenza si sbaglia e si muore cento volte, ma altrettanto si può tornare a vivere. Basta guardarsi intorno, scopriremmo che chi ci siede vicino nell'autobus sta pensando come noi alle difficoltà che deve affrontare nel lavoro, con la famiglia, con il vicino di casa, con il non riuscire ad arrivare a fine mese, col sentirsi solo in mezzo a un mondo fatto di lupi, in cui il lupo che ci siede a fianco sta pensando esattamente le stesse cose. Siamo fratelli anche per questo, viviamo nella stessa casa che è il mondo ma ci siamo costruiti delle recinzioni cosi' alte che ci viene persino difficile pensare che la luna e il sole siano gli stessi per tutti e ogni volta che li guardiamo milioni di persone, come noi, stanno facendo la stessa identica cosa.
NON SIAMO SOLI
Quei pochi mesi furono per me e credo anche per gli altri, gli unici momenti in cui riuscivamo a lasciarci dietro alla porta tutte le ansie e le angosce, nostre e degli altri.
La musica con i suoni molteplici, la serenità di chi ti conosce ma nulla chiede e il farti sentire al sicuro, diedero a quel periodo il sapore di una favola: era da tantissimo tempo che non le ascoltavamo.
Ricordo che confrontavamo le diversità di sensazioni che un semplice bastone della pioggia ci dava quando il nostro maestro cominciava a farlo suonare e, in particolar modo, quando al suono della pioggia aggiungeva i rumori dei tamburi. Marilisa sentiva il temporale avvicinarsi e ne aveva paura, ma se si toglieva il rumore della pioggia, o almeno si diminuiva il rumore della caduta dell'acqua, si rilassava e diventava allegra. Io da parte mia mi ritrovavo in un posto al sicuro e non mi spaventavo facilmente, anzi, all'inizio prima che i tuoni si facessero sentire mi sembrava persino di correre fuori dalla capanna e di bagnarmi sotto la pioggia.
Era da tantissimo tempo che non lo facevo veramente: fin da quando ero bambina e poi giovane ragazza, amavo la pioggia e quando potevo, di nascosto da mia madre, uscivo per strada a piedi scalzi e mi bagnavo completamente: allora bastava poco per essere felice.
Amedeo era forse più a me simile, poiché il rumore del mare ci faceva trovare su una bellissima spiaggia dove più volte abbiamo camminato insieme a piedi scalzi, ma quando al rumore delle onde del mare si sostituiva in lontananza la musica, di colpo mi ritrovavo a ballare e Amedeo continuava la sua passeggiata lanciando sassi dentro l'acqua.
Anna era quella che aveva difficoltà a raccontarsi e a raccontare le sue esperienze, ma la musica e la condivisione la aiutarono a guardare dentro se stessa.
Molto riservata in confronto a noi tre, ma senza dubbio una donna sensibile, sola e molto arrabbiata. Tali sensazioni mi furono confermate qualche mese dopo quando, incontrandola per strada, mi racconto' di come il suo matrimonio stesse naufragando e il dolore che provava nel dover affrontare tutti i giorni l'insensibilità' del marito. Quella degli altri la puoi anche accettare poiché il mondo pensa solo al proprio tornaconto e a non aver problemi, ma quella del tuo uomo pesa e diventa arduo affrontare ogni giorno che passa.
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