Ospedale San Carlo di Potenza
Giudizio dei pazienti
Recensioni dei pazienti
16 recensioni
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Chirurgia generale
Un po' una odissea arrivare alla prima visita, ma poi il percorso è stato abbastanza lineare.
Il chirurgo che ha operato mio marito si è dimostrato essere una persona davvero speciale non solo per la sua professionalità e l'esperienza operatoria, ma anche per il modo di porsi disponibile e umano verso di lui ed anche verso quell'ansiosa di sua moglie!
Dermatologia ospedale San Carlo
Competenza, gentilezza e cortesia!
Neurochirugia
Ho sofferto dolori lancinanti per 2 mesi, resistenti alla terapia medica, a causa di una ernia discale L3-L4 espulsa. Sono stato operato dal dottor Di Biase Francesco della Neurochirurgia del San Carlo di Potenza. Ottimo neurochirurgo. In seconda giornata sono stato dimesso e... sono rinato.
Grazie anche all'equipe anestesiologia.
Pronto soccorso
Mi riferisco al PS, dove nel mio caso, dopo 3 ore di attesa, ho finalmente potuto incontrare sua maestà il medico, che non si è nemmeno degnato di guardare in faccia il paziente. Zero visita, zero diagnosi, mi ha accontentato con una RX. Devo dire che ho ricevuto tanta arroganza, saccenza e zero professionalità.
Reparto di chirurgia d’urgenza
Al personale del reparto Chirurgia d’urgenza chiedo solo umanità.. di lavorare come se al posto delle persone ricoverate, seppur fastidiose e maleducate, ci fossero i loro cari o loro stessi. Più umanità. Grazie.
Fibrillazione atriale ottimamente gestita
Mercoledì mattina scorsa sono dovuto ricorrere al p.s. per fibrillazione atriale, trattata con farmaci e cardioversione. Dal primo operatore all'accettazione, all'infermiera, al praticante e alla dottoressa, hanno dimostrato tutti competenza e tanta, tanta umanità. Coinvolgimento e rassicurazione che tutto era sotto controllo (e così è stato) mi hanno inoltre tranquillizzato molto.
Devo complimentarmi, da campano che lavora a Potenza, per quanto ho visto, per come hanno individuato il mio problema e lo hanno risolto: ho avuto l'impressione che l'ospedale abbia allargato le braccia e mi abbia accolto per curarmi. Grazie di tutto.
Ottimo ospedale
Da molti anni eseguo qui i controlli di routine e mi trovo benissimo.
L'ospedale è grande e moderno, gli ambienti sono pulitissimi, i medici in gamba e aggiornati.
Servizi direi ottimi, dall'wi-fi per i pazienti al grande parcheggio.
Leggo di critiche al Pronto Soccorso. Forse se si andasse al PS davvero per urgenze, non lo si intaserebbe e il personale lavorerebbe meglio.
Grazie di esistere.
Un disabile lasciato solo, morire da solo
Mio cugino di 37 anni, disabile (paresi in tutta la parte sinistra del corpo a seguito di un intervento di asportazione di un tumore al cervello) è stato lasciato solo... Impossibilitato nel muoversi da solo, suonava per chiedere l’intervento delle infermiere, ma dopo pochi giorni gli viene allontanato addirittura il pulsante. Chiediamo l’ingresso della madre per accudirlo, avendo la 104 e due dosi di vaccino, ma viene ripetutamente negato per COVID. Mio cugino peggiora, seguono vari interventi per un drenaggio del liquor - che andava fatto molto prima - e si trova in una situazione estrema con febbre e alimentazione via flebo. Quelle poche informazioni che vengono date alla famiglia sono sempre le stesse... va tutto bene, la situazione è sotto controllo.
Mio cugino chiede aiuto alla madre, alla quale viene bloccato l’ingresso in reparto, mentre i dottori continuano ad affermare, seccati dalle ripetute richieste di informazioni, che va tutto bene, che non appena la febbre sarebbe scesa lo avrebbero fatto uscire. Conclusione? mio cugino si è spento da solo in una stanza di ospedale dove doveva restare per soli 3 giorni per un drenaggio, invece dopo due settimane e 3 interventi, il suo cuore ha ceduto per un arresto cardiaco.
Molte volte, oltre alla laurea appesa, ci vuole il cuore di capire una mamma e il bisogno di un ragazzo di 37 anni, martoriato dalla malattia, che aveva il coraggio di combatterla la malattia, ma non la solitudine..
Frattura del femore e COVID contratto in ospedale
Nel mese di dicembre mia madre, a seguito di una frattura del femore, è stata operata nel reparto di Traumatologia, successivamente trasferita in quello di Pneumologia COVID 1 per aver contratto il virus in ospedale. Dopo un lungo periodo di degenza è stata trasferita, in condizioni molto critiche e con valori di saturazione pessimi, nel reparto di Rianimazione.
Qui è stata intubata e successivamente sottoposta ad un intervento di tracheotomia, per poi essere trasferita, dopo diversi giorni, nel reparto COVID 2 di Pneumologia, morendo dopo circa 24 ore.
In questa triste vicenda, sento il dovere di fare un elogio, anche da parte di tutta la mia famiglia, al dottor Libero Mileti e a tutto il personale del reparto Rianimazione.
Il reparto di Rianimazione è sicuramente una delle eccellenze del S. Carlo, da prendere, a nostro avviso, come modello per altri reparti dove, al contrario, non posso che esprimere un giudizio completamente negativo (salvo alcune eccezioni) per la scarsa assistenza e soprattutto assenza di umanità e capacità di ascolto.
Questa triste esperienza lascia dentro di me senz’altro tanto dolore per la perdita della mia cara mamma, ma anche tanta amarezza e rabbia per l’indifferenza dimostrata da parte di “alcuni” medici e infermieri nei confronti delle persone più fragili (anziani), viste come dei numeri.
Tragica esperienza ai tempi del Covid
Sono la nipote di una signora deceduta pochi giorni fa nell’Ospedale S.Carlo di Potenza, a causa del virus SARS-CoV-2 contratto all’interno della struttura.
La paziente è stata ricoverata nel reparto di traumatologia il giorno 8 dicembre 2020 a causa della frattura del femore. L’esito del tampone, risultato positivo al momento del ricovero (e che dopo pochi giorni si scopre essere un falso positivo), ritarda la data dell’intervento (in genere da effettuarsi entro le 48- 72 ore), che viene eseguito ben sette giorni dopo.
La mattina del 18 dicembre, a seguito della comunicazione - da parte di una dottoressa del reparto - della negatività al tampone, la paziente sarebbe dovuta essere trasferita in un apposito centro di riabilitazione. Il pomeriggio veniamo ricontattati da un altro medico che smentisce quanto precedentemente comunicato - “….sicuramente vi è stato un errore nella lettura dell’esito dello stesso” - e dispone pertanto il trasferimento della paziente in un’apposita struttura COVID.
Nel periodo di degenza presso il reparto Covid 1/ Pneumologia, la paziente, almeno fino a quando risultava asintomatica e riusciva autonomamente ad usare il cellulare, ci ha informati giornalmente delle condizioni deprecabili in cui versava:
- enormi difficoltà nel consumare i pasti, nello specifico nel deglutire, a causa della forzata posizione supina per via dell’intervento e dei dolori fortissimi alla schiena. La scarsa assistenza da parte del personale infermieristico (ad eccezione di una sola infermiera che in alcuni turni ha avuto l’attenzione di sedersi vicino e aiutarla a mangiare), nonché la formazione di ulcere alla bocca conseguenti alla mancata igiene della protesi dentaria e di quella orale, l’hanno indotta a rifiutare il cibo. Per questo motivo, e con il consenso di un operatore sanitario, abbiamo provveduto ad inviarle un collutorio, una pomata per le labbra e un piccolo oggetto a lei caro (mai applicati e consegnati, come confermato dalla stessa paziente). Nel corso di una conversazione telefonica, avvenuta in pari data, siamo stati peraltro rimproverati da un infermiere per aver fatto giungere nel reparto quanto sopra descritto.
- difficoltà di comunicazione telefonica con la paziente. Nell’ultimo periodo di degenza in questo reparto, sicuramente il più drammatico per lei e per noi parenti, le sue condizioni si sono aggravate giorno dopo giorno, impedendole di usare autonomamente il cellulare. La mancanza di una figura professionale preposta ad aiutare gli anziani a comunicare con i familiari, di opportuni dispositivi tecnologici all’interno del reparto stesso, di soluzioni architettoniche (pareti vetrate) in grado di comunicare con la stanza Covid - come invece suggerito all’interno del rapporto ISS COVID-19 n. 41/2020- ci hanno impedito di stabilire un contatto diretto con la paziente (ad eccezione di due sole volte, dove si è riusciti a conversare telefonicamente grazie alla gentilezza di un operatore).
Il giorno prima del suo trasferimento in rianimazione, un medico di turno, favorevole a far ascoltare telefonicamente la voce di noi familiari alla paziente, in quanto “….supporto fondamentale in questa fase così delicata del suo percorso”, ha incaricato un infermiere di assistere la paziente nella comunicazione prevista per le ore 17.00 (cosa mai avvenuta in quanto “tutti troppo impegnati”). Quel giorno non è stato possibile, sia pur per qualche minuto, avvicinare il telefono all’orecchio della paziente che stava combattendo da sola questa situazione.
Il giorno seguente, 2 gennaio 2021, entra in uno stato di semi coma e con valori pessimi della saturazione, viene trasferita in rianimazione e quindi intubata.
Probabilmente se avesse indossato correttamente la maschera ventilata (che purtroppo tendeva a togliere per il fastidio che le causava) e monitorata costantemente, forse non sarebbe arrivata il giorno seguente in quelle condizioni.
Nel reparto di rianimazione - che ringraziamo per la professionalità, cortesia ma soprattutto per la grande umanità dei medici e del personale infermieristico - dove la paziente è stata seguita e monitorata costantemente, le sue condizioni sono lentamente migliorate tornando ad essere cosciente. A differenza degli altri reparti, ogni giorno siamo stati informati delle sue condizioni, con una comunicazione condotta con sensibilità ed umanità. Dopo un intervento di tracheotomia, necessario per indurla a respirare autonomamente, e non appena le sue condizioni generali si sono stabilizzate (sia pure all’interno di un quadro clinico serio ma non critico), i medici hanno stabilito il trasferimento (22 gennaio) nel reparto Covid 2 di pneumologia per iniziare un percorso di riabilitazione polmonare.
Il pomeriggio dello stesso giorno incorriamo in un ennesimo episodio piuttosto raccapricciante: un medico del reparto Covid 2 di pneumologia, con toni molto accesi, poco gentili, poco professionali e totalmente difformi rispetto a quello che dovrebbe essere una comunicazione condotta con sensibilità ed umanità, ci informa che le condizioni della paziente “non sono critiche, sono più che critiche. Un polmone completamente fuori uso e l’altro attaccato dal Covid …..la paziente si è già fatta il giro di tutti i reparti”(come se le fosse piaciuto trascorrere due mesi infernali sbalzata da una parte all’altra), “……e che per oggi non faremo nulla e neanche sabato e domenica. Lunedì si vedrà che fare”. Il familiare all’ascolto, nonché figlia della paziente, soggetto cardiopatico, è entrata uno stato di forte tensione e, ad una sua richiesta di portare uno spray per piaghe da decubito (in quanto nel precedente reparto di traumatologia le era stato espressamente richiesto) e notizie riguardo gli effetti personali, il medico in questione le ha risposto indispettito “Lei non si deve permettere di dirmi cosa occorre alla paziente, noi sappiamo come curarla”, interrompendo bruscamente la conversazione telefonica.
Sicuramente in tali circostanze, le abilità di comunicazione e la capacità di costruire una relazione di fiducia sono fondamentali, e ancora di più in questo periodo, in considerazione delle difficoltà e dei disagi associati alla pandemia (vedi rapporto ISS COVID-19 n. 41/2020).
Va segnalato che nella situazione attuale, in cui l’isolamento dei pazienti nei reparti non consente in alcun modo il contatto diretto con i familiari e dove le abilità di interazione umana e diretta col paziente sono essenziali, gli operatori sanitari ricoprono un ruolo importante, sostituendosi alle persone più care, specie nel momento della morte.
Concludo dicendo che la mattina successiva a tale episodio (23 gennaio) la paziente è deceduta.
Porto all’attenzione questa spiacevolissima vicenda con l’auspicio che non accadano più simili episodi e che i medici e il personale in questione potranno essere più umani. Sicuramente non è possibile generalizzare, e’ un momento delicatissimo, capisco lo stress a cui tali persone sono sottoposte, ma ciò non giustifica affatto la mancanza di tatto e attenzione che dovrebbero avere.
Inoltre sottolineo l’importanza della disposizione di mezzi tecnologici che gli ospedali dovrebbero avere per stabilire una comunicazione paziente-familiari giornaliera, in quanto spesso è anche la solitudine che contribuisce all’aggravamento della malattia. Molti pazienti, tra cui il caso appena citato di mia nonna, hanno trascorso giorni, i loro ultimi giorni, da soli, isolati, in una stanza di ospedale, senza poter vedere e talora neanche comunicare con i propri familiari. Sebbene sia vero che utilizzando una comunicazione a distanza di questo tipo, le famiglie possono restare con la sensazione di non aver potuto dire addio in una maniera appropriata al loro caro, questo tipo di soluzioni sono comunque infinitamente migliori rispetto a un’atroce situazione di quella che in lingua giapponese viene definita kodokushi, ovvero morte in solitudine.
Attesa alle casse e visita pneumologica
Sono stata qui l'altro giorno. Lunga attesa alle casse, dopo un'ora e mezza che ero in fila avevano chiamato solo 30 numeri, ne avevo altri 30 davanti! Intanto era arrivata l'ora dell'appuntamento in reparto, l'ho fatto presente al responsabile, ma come al solito dicono che non è colpa loro (forse è mia?). Per non parlare delle 4, dico quattro, ragazze che sono all'ingresso, che dovrebbero andare incontro alle esigenze del paziente. Dopo essermi lamentata anche con loro, non mi hanno detto che per saltare la fila potevo pagare al box con il bancomat (me lo ha detto un altro cristo in fila).
Vogliamo poi parlare della visita che ho fatto? in una specie di sgabuzzino dove era un continuo via vai di medici, gente di passaggio e personale vario; e delle continue interruzioni durante la visita?
Quel giorno avuto la sensazione di aver buttato soldi e tempo. Questo non toglie che non sia un buon ospedale, perchè so che molti reparti funzionano bene e ci sono bravi medici, però magari qualcosa é da aggiustare.
Pessima
Struttura da riformare... Unico ospedale buono in Basilicata, ma non competente a livello nazionale.
Nel mio caso, ERRORE di Lettura TAC del referto.
Pronto soccorso
Sono arrivata in ospedale con un problema serio di udito al pronto soccorso di domenica; siamo stati dalle 15.30 alle 21.00, c'era un solo dottore, alla visita il medico non ha ritenuto il problema abbastanza grave e non ha chiamato l'otorino, ma mi ha fatto tornare il lunedì. Sono tornata, l'otorino mi ha fatto fare l'esame audiometrico e mi ha detto che la situazione e' delicata e di farmi una Tac per i fatti miei senza ricoverarmi o dirmi di tornare!
Cronaca di un errore diagnostico
In data 04/02/2012 accedevo all’Ospedale “S.Carlo” di Potenza, U.O. di “Malattie infettive”, con diagnosi di febbricola di n.d.d., cefalea pulsante e contemporaneo “lasegue” positivo. Benché perplesso per la prima ipotesi diagnostica (sospetta spondilodiscite), accettavo il ricovero presso detto reparto e in occasione della visita d’ingresso esibivo una certificazione specialistica redatta dal neurologo di fiducia, al cui interno veniva prescritta una RMN encefalo e midollo “in toto”. Nonostante tale prescrizione, medici e primario pro-tempore si soffermavano solo sui sintomi che dall’encefalo si irradiavano alla colonna vertebrale, ragion per cui ordinavano una Risonanza Magnetica "lombo-sacrale", anziché dar seguito alla citata prescrizione specialistica, tacciata di eccesso da medicina preventiva ed "abusivismo diagnostico.
Diagnosi di dimissione dopo 6 giorni di ricovero: lombosciatalgia.
In realtà io avevo una MAV cerebrale in fase di rottura!!!
La diagnosi corretta veniva fatta presso altra struttura ospedaliera in Salerno (meritevole di encomio), grazie agli esami strumentali giusti: RMN Encefalo, Angio RM del distretto vascolare intracranico, Pan-Angiografia cerebrale.
A Potenza invece, nonostante le visite di rito in ingresso e nonostante gli esami espletati durante i giorni di ricovero, nessuno dei sanitari comprendeva che i sintomi riferiti andavano ricondotti ad un problema a livello di S.N.C., con conseguente emorragia subaracnoidea e successiva irritazione sciatica da raccolta ematica nel sacco durale della cauda. Anche la febbricola altro non era che un riflesso della MAV e dell’infiammazione del nervo sciatico, prodotta dal sanguinamento di tale malformazione vascolare ad alto flusso. Questo è solo il secondo dei tre casi di “malpractice” sanitaria di cui sono stato vittima e che sono stati oggetto di recensione su questo sito. Per la vicenda sopra descritta, lo scrivente intraprenderà un’azione legale risarcitoria per il danno da ritardata ed errata diagnosi, nonché per il ricovero nel reparto sbagliato (Malattie infettive anziché Neurochirurgia).
Con osservanza,
F. Musci
Neurochirurgia... un inchino!
Non posso fare altri che ringraziare e complimentarmi con il dott. GODANO e tutta l'equipe medica che mi ha seguita. Un team affiatato che opera in assoluta sinergia sotto la direzione del primario che, unitamente alla sua umanità, impartisce una perfetta disciplina al reparto, dove l'attenzione al paziente é anteposta a tutto. Il personale infermieristico é straordinario, preparato e sempre disponibile anche nelle ore notturne, cosa che non accade ovunque. Mi é stata salvata la vita e la convalescenza é stata condotta in un clima accogliente, dove una parola spesa con il paziente sortisce un'efficacia migliore di qualsiasi farmaco. Prossimamente mi sottoporrò ad un secondo intervento e vivo il momento in serenità, sapendo di affidarmi alle mani competenti di chi fa il medico non per professione, ma per un credo.
Chirurgia d'urgenza: fantastici
Nel reparto di chirurgia d'urgenza sono fantastici, mai visto un reparto cosi efficiente, soprattutto il dott. Albano è il miglior medico che abbia mai conosciuto. Il mio papà non ce l'ha fatta, però lui è stato fantastico nel suo lavoro e anche nella sua immensa umanità. GRAZIE DOTT. ALBANO.
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