A cura di: Dott. Dario Ribero, responsabile della chirurgia epatobiliopancreatica e colo-rettale dell'Istituto Cura del Cancro di Candiolo
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Il tumore del colon-retto è causato dalla proliferazione incontrollata delle cellule della mucosa, il tessuto che tappezza le pareti interne dell’intestino. In più del 80% dei casi deriva da un tumore benigno, chiamato polipo adenomatoso, che evolve lentamente in cancro.
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Ogni tumore è esclusivo e le sue caratteristiche sono determinate dalla sede nel colon, dal grado di invasione della parete colica, dall’eventuale invasione dei linfonodi locoregionali, dalla presenza o meno di metastasi a carico degli altri organi e dalle sue caratteristiche biologiche cellulari.
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La scelta del trattamento per ogni singolo caso viene effettuata da medici specialisti nelle diverse branche attinenti (chirurgia, oncologia e radioterapia), i quali si riuniscono per discutere le soluzioni possibili e scegliere quella ottimale per il paziente, basandosi sulle linee guida vigenti e sulle evidenze scientifiche, eventualmente proponendo la
partecipazione a studi clinici. -
Gli specialisti coinvolti nel processo diagnostico-terapeutico sono rappresentati dal: gastrenterologo, radiologo, chirurgo, oncologo medico, patologo, radioterapista, terapista del dolore, psicologo o psichiatra, infermiere, stomaterapista, dietista, fisioterapista, medico di famiglia.
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Il trattamento è di tipo multimodale e può prevedere la chirurgia, la chemioterapia e la radioterapia per il tumore del retto. La chirurgia ha un ruolo centrale ed ha come obiettivo la rimozione radicale del tratto di colon colpito dal tumore. L'operazione può essere eseguita
con tecniche mininvasive. -
Il tumore e tutti gli elementi rimossi durante l'intervento (vasi sanguigni, linfonodi) devono essere esaminati dall'anatomopatologo. L’esame istologico consente di valutare l'entità della malattia e di decidere se il trattamento chirurgico sia stato curativo o debba essere seguito o dalla chemioterapia.
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La terapia medica, chemioterapica e/o immunoterapica, viene usata in diverse fasi. Nella fase postoperatoria ha l’obiettivo di ridurre il rischio di recidiva. In fase preoperatoria, quando la malattia è estesa al fegato, ha il fine di far regredire o stabilizzare le lesioni e consentire una maggiore radicalità chirurgica. Nelle forme avanzate viene utilizzata per rallentare la progressione di malattia.
Il grosso intestino o colon-retto è quel tratto del tubo digerente di lunghezza variabile da 1,5 a 3,5 metri, in continuazione al piccolo intestino; esso è deputato al riassorbimento di acqua e sali minerali dal liquido intestinale, ed al trasporto e al contenimento del materiale fecale.
Il tumore del colon-retto è causato dalla proliferazione incontrollata delle cellule della mucosa che riveste internamente la parete intestinale. Il tumore si sviluppa più spesso nel colon (circa il 70% dei casi) e meno frequentemente nel retto (30%).
Nei paesi occidentali il tumore del colon-retto rappresenta per incidenza e mortalità il secondo tumore maligno dopo quello della mammella nella donna e il terzo dopo quello del polmone e della prostata nell'uomo. È raro prima dei 40 anni, sempre più frequente a partire dai 60 anni, raggiungendo il picco massimo verso gli 80 anni. In Italia si stima che il tumore colpisca 40000 donne e 70000 uomini ogni anno. L'incidenza è in aumento nella popolazione femminile per via delle abitudini di vita sempre più uniformi tra i due sessi.
È un tumore che si può prevenire o guarire se diagnosticato precocemente. Nelle fasi iniziali si presenta sotto forma di polipo adenomatoso, lesione inizialmente benigna, ma capace di evolvere in cancro.
Molte sono le cause che concorrono a determinare la malattia. Tra queste possiamo distinguere i seguenti fattori:
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Fattori comportamentali e dietetici: numerose ricerche hanno dimostrato che i fumatori, le persone in sovrappeso e sedentarie hanno un rischio aumentato a prescindere dallo stile dietetico. Inoltre una dieta ad alto contenuto in calorie, ricca in grassi animali (carni rosse, insaccati), in zuccheri raffinati e povera di frutta e verdura (alimenti ricchi in fibre ed antiossidanti) è associata ad una maggiore incidenza di tumori intestinali.
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Fattori genetici: esistono alcune sindromi ereditarie familiari che predispongono alla formazione di tumori intestinali; tra queste troviamo le poliposi adenomatose familiari (FAP, sindrome di Gardner, di Turcot) o le forme non poliposiche come sindrome di Lynch o HNPCC. La probabilità di trasmettere alla prole l'alterazione genetica è del 50%.
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Fattori non ereditari: l'età (l'incidenza aumenta di 10 volte dopo i 60 anni), le malattie infiammatorie croniche intestinali (rettocolite ulcerosa e morbo di Crohn), una storia clinica di polipi del colon già asportati o di un pregresso tumore del colon. La presenza in familiari di primo grado di casi sporadici che non rientrano in specifiche forme ereditarie, quali quelle sopra ricordate, è associata ad un rischio aumentato di 2-3 volte.
Le lesioni precancerose sono asintomatiche o si possono manifestare con piccole perdite ematiche rilevabili solo con l'esame delle feci.
I sintomi del tumore del colon sono molto variabili e correlati alla sede, alla sua estensione, alla presenza di ostruzione o emorragie. Spesso sintomi precoci ed aspecifici come la stanchezza o il ridotto appetito sono trascurati dal paziente. Sintomi tardivi possono essere l'anemia, la perdita di peso o la stitichezza ostinata alternata a diarrea.
Oggi il tumore del colon-retto è spesso diagnosticato in fase precoce grazie alle campagne di screening sulla popolazione a rischio. Tale programma di prevenzione secondaria ha l'obiettivo di diagnosticare precocemente le lesioni precancerose o le lesioni cancerose in una fase preclinica, al fine di aumentare la probabilità di guarigione.
La popolazione sana chiamata a sottoporsi allo screening è rappresentata da tutti gli uomini e le donne nella fascia di età tra i 50 ed i 69 anni ed i soggetti con familiarità di I grado a partire dai 40 anni. Il programma prevede la ricerca del sangue occulto nelle feci (SOF-test) ogni due anni; in alcuni programmi è prevista anche l'esecuzione di una rettosigmoidoscopia all'età di 58 anni (vista la maggiore frequenza di tumori localizzati nell'ultimo tratto del colon discendente-retto, circa 70 % del totale). Secondo alcuni studi tale esame ridurrebbe del 45 % il rischio di ammalarsi di cancro.
Nel caso in cui il SOF-test rivelasse la presenza di sangue occulto è necessario effettuare una colonscopia. Tale esame ha la più elevata sensibilità nel diagnosticare le piccole lesioni polipoidi precancerose, consente l'esecuzione istantanea di biopsie per l'esame istologico o la completa rimozione dei polipi. È una metodica invasiva ma che può oggi essere eseguita ambulatorialmente in sedazione profonda senza grossi disagi.
Un'ulteriore metodica non invasiva è rappresentata dalla colonscopia virtuale, un esame radiologico che attraverso l'esecuzione di una TAC e la rielaborazione grafica per mezzo di particolari software, consente di diagnosticare polipi o neoplasie del colon con accuratezza simile alla colonscopia tradizionale, ma con una minore sensibilità per i polipi di diametro inferiore ad 1 cm. La colonscopia virtuale ha lo svantaggio di non consentire l'esecuzione di una biopsia, per la quale sarà necessario programmare la successiva colonscopia invasiva; inoltre essa necessita della stessa preparazione dietetica e meccanica. La sua esecuzione trova indicazione nei casi in cui l'esame invasivo non possa essere effettuato o risulti incompleto.
Rimane comunque fondamentale l'esame clinico del paziente, caratterizzato dalla palpazione dell'addome finalizzata alla ricerca di eventuali masse palpabili, e dall'esplorazione rettale che consente di individuare circa il 70 % dei tumori del retto.
Alla diagnosi segue la stadiazione clinico-radiologica, ossia la valutazione dell'estensione di malattia, fondamentale per orientate la scelta del successivo iter terapeutico.
Una TC torace-addome con mezzo di contrasto endovenoso ed eventualmente una tomografia ad emissione di positroni (PET-TC) consentono di valutare i rapporti della neoplasia con gli organi circostanti, lo stato dei linfonodi loco-regionali e la presenza di metastasi a distanza.
Nei tumori del retto la risonanza magnetica (RMN) consente di riconoscere con accuratezza la diffusione o l'infiltrazione delle strutture adiacenti (mesoretto, vasi, linfonodi, organi pelvici). Analogamente in questi pazienti può essere indicata anche l'esecuzione di una ecoendoscopia (EUS) che, per mezzo di una piccola sonda ecografica introdotta nel retto, consente di valutare il grado di invasione tumorale nei vari strati della parete intestinale e lo stato dei linfonodi regionali, permettendo anche l'esecuzione di biopsie.
Sulla base della stadiazione l'equipe multidisciplinare, composta da chirurgo, oncologo medico e radioterapista, stabilisce il percorso terapeutico ottimale. Gli altri professionisti coinvolti nel processo decisionale e di cura sono rappresentati dal patologo, dal radiologo, dall'anestesista, dal nutrizionista, dall'infermiere, dallo stomaterapista.
La terapia è di tipo multimodale e può prevedere la chirurgia, la chemioterapia e la radioterapia per il tumore del retto.
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Chirurgia. Le forme precoci non invasive possono essere rimosse mediante procedure operative endoscopiche, e nel retto mediante una tecnica endoscopica microchirurgica transanale (TEM).
Per i tumori del colon invasivi il trattamento chirurgico prevede la rimozione del segmento di colon colpito con un margine di tessuto sano ad entrambi i lati della massa; insieme al tumore vengono asportati anche i linfonodi regionali situati lungo i vasi deputati all'irrorazione del tratto di intestino interessato dal tumore. Questa procedura definita linfoadenectomia ha un duplice obiettivo: curativo, in quanto aumenta la radicalità oncologica e riduce il rischio di recidiva, e stadiativo-prognostico.
Dopo l'asportazione della parte malata di colon, la continuità intestinale viene ripristinata ricongiungendo i monconi intestinali sani: tale giunzione è chiamata anastomosi.
Il tumore del retto prevede a seconda della sede (retto prossimale, medio e inferiore) l'asportazione del viscere insieme all'escissione parziale o totale del mesoretto, ossia il tessuto linfo-adiposo che avvolge il retto. L'asportazione di tale manicotto deve essere il più possibile completa ed accurata: questo infatti consente una significativa riduzione del rischio di recidiva locale.
Se il tumore del retto infiltra l'apparato sfinterico è spesso necessario ricorrere ad interventi di tipo demolitivo che prevedono anche l'asportazione parziale o totale degli sfinteri con il confezionamento di una colostomia terminale (ossia definitiva); in questi casi il moncone colico viene abboccato alla cute dell'addome permettendo l'espulsione delle feci. In alcuni casi, ad esempio quando l'anastomosi è a rischio di sviluppare difetti di cicatrizzazione, il chirurgo può decidere di confezionare una stomia temporanea di protezione e la continuità intestinale verrà ripristinata mediante un secondo intervento.
L'operazione può essere effettuata sia con tecnica tradizionale che con tecnica mininvasiva (laparoscopica o robotica). La chirurgia mininvasiva permette di eseguire l'intervento con uguale efficacia oncologica, inserendo gli strumenti attraverso piccoli fori sulla parete addominale; questo consente un decorso postoperatorio più agevole (riduzione del dolore, degenza più breve, minori complicanze) ed una minore aggressività sull'organismo del paziente.
Il recupero dall'intervento può essere ulteriormente favorito dall'adozione di protocolli di gestione perioperatoria integrati, in grado di ridurre l'impatto della procedura sull'equilibrio fisiologico del paziente (protocollo ERAS).
Le forme metastatiche con diffusione di malattia al fegato necessitano di un approccio multimodale sequenziale articolato e personalizzato, che può prevedere dopo una preliminare chemioterapia neoadiuvante, uno o più interventi sul fegato, sia combinati, nel corso della chirurgia colorettale, sia differiti. Nell'ambito della chirurgia epatica vengono oggi utilizzate tecniche di resezione guidata dall'ecografia intraoperatoria che consentono il massimo risparmio di tessuto epatico e la riduzione del rischio operatorio. -
Chemioterapia. La terapia medica, chemioterapica e/o immunoterapica, viene usata in diverse fasi. I farmaci disponibili sono molteplici e possono essere usati in diverse combinazioni. Nella fase postoperatoria la chemioterapia ha l'obiettivo di ridurre il rischio di recidiva ed è indicata nei tumori a maggiore rischio (ossia quelli con metastasi linfonodali o tumori avanzati). La chemioterapia può essere usata anche in fase preoperatoria, quando la malattia è estesa al fegato, per far regredire o stabilizzare le lesioni e consentire una maggiore radicalità chirurgica. Nelle fasi avanzate, in presenza di metastasi a più organi, ha l'obiettivo di rallentare la progressione di malattia.
Per stabilire se i nuovi farmaci biologici, che si affiancano ai farmaci chemioterapici tradizionali, siano o meno efficaci nel singolo paziente è indicato eseguire delle indagini molecolari sul campione chirurgico o sulla biopsia. Le persone in cui è presente la mutazione del gene RAS non rispondono ad alcuni farmaci (cetuximab o panitunumab) antitumorali mirati. Con l'esame della mutazione del gene di RAS si evita così di somministrare ai pazienti che rientrano in questo gruppo regimi di trattamento da cui non trarrebbero alcun beneficio. -
Radioterapia. La radioterapia è indicata nei tumori del retto localmente avanzati in fase preoperatoria con lo scopo di determinare una riduzione dell'estensione della neoplasia e consentire un intervento conservativo della funzione d'organo (in particolare dell'apparato sfinterico) e di ridurre il rischio di recidiva locale. È spesso associato alla chemioterapia che ha lo scopo di potenziare l’effetto radioterapico.